Il Giappone feudale - Settore Ju Jitsu

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Un po di storia
" IL GIAPPONE FEUDALE "
Dai documenti lasciati dai primi europei entrati in contatto con la società giapponese, viene descritto un mondo profondamente sconvolto dalle guerre intestine, in preda ad una violenta anarchia, capace di minare perfino il tradizionale vincolo di fedeltà assoluta dei vassalli nei confronti dei propri signori.
Tradimenti, rivolte, omicidi, sospetto e generale insicurezza erano gli elementi dominanti la realtà quotidiana.
Si trattava dell'epilogo di una vicenda secolare generata dall'incapacità del sistema politico di fornirsi degli strumenti di comando e di tenere saldamente sotto controllo uomini e territorio.
Gli imperatori avevano rappresentato, nel corso degli anni, l'autorità suprema più di nome che, di fatto, chiusi nelle loro città-capitali non possedevano di fatto i mezzi necessari per imporre la loro volontà ai feudatari (daimyo) delle provincie.
Spesso accadeva che i generali mandati a sedare una rivolta si unissero agli insorti e marciassero contro la capitale.
La struttura sociale si basava su clan militari fortemente radicati nei territori delle provincie e insofferenti di qualsiasi autorità centrale.
I clan erano composti da signori locali (daimyo) uniti da vincoli di sangue o da rapporti di vassallaggio.
La lotta per la supremazia fra i diversi clan era permanente e, conseguentemente, la guerra era lo stato abituale delle cose.
La pace interna si otteneva solo per brevi periodi quando un clan riusciva a conquistare l'egemonia su tutto il paese o quando si trattava di respingere un nemico esterno, come avvenne contro i Mongoli nel 1274 e nel 1281. In realtà le forze centrifughe erano più forti che qualsiasi principio di centralizzazione.
I capi militari che raggiungevano l'egemonia e che si sostituivano all'imperatore nel governo della nazione; finivano ben presto per vedere il loro potere logorato da congiure, ribellioni contadine, sollevazioni di monaci armati e irriducibili all'obbedienza.
Il principale vincolo sul quale l'intera società faceva affidamento era la cieca e assoluta fedeltà di ogni cittadino nei confronti dei propri superiori.
Questo rivela, però, la debolezza di un universo sociale organizzato in questo modo: per quanto possano essere forti i legami di fedeltà personale sono sempre condizionati dall'instabilità delle passioni umane.
L'ambizione o la disperazione potevano spesso molto di più che il tenere fede ai propri doveri.
Sebbene già nel VI secolo D.C. si fosse formata una vera e propria casta di combattenti di professione, l'uso delle armi era ampiamente diffuso all'interno di tutte le classi sociali fino ad almeno il secolo XVI.
Ventagli e pipe di ferro, bastoni e falci, erano armi micidiali nelle mani di contadini, artigiani e monaci.
La storia del Giappone antico è costellata da violentissime e frequentissime rivolte contadine contro le malversazioni dei loro signori.
Armati d'attrezzi di lavoro, arrangiati alla meglio come armi, i contadini sapevano affrontare i samurai con non inferiore abilità guerriera e con altrettanto valore. Non erano rari i casi in cui i contadini riuscirono a sconfiggere le armate mandate a reprimerli.
Ma ancora più temibili erano, per il potere dei signori feudali, gli ordini monacali armati.
Quasi tutte le più importanti sette religiose si erano date un'organizzazione di tipo militare.
Essa ricalcava quella dei clan guerrieri e costituiva una forma di contropotere efficiente e ben radicato.
Inoltre i monaci erano combattenti d'eccezionale perizia e valore, indubbiamente superiori agli stessi samurai dai quali potevano essere sovrastati solo con la forza del numero e con il ricorso all'uso di armi da fuoco.
Le molteplici sette buddiste possedevano, intorno ai loro monasteri, vasti feudi, e i capi religiosi, nominati dall'imperatore, erano coinvolti nei giochi di potere che scatenavano le frequenti lotte fra clan.
Le molteplici sette buddiste possedevano, intorno ai loro monasteri, vasti feudi, e i capi religiosi, nominati dall'imperatore, erano coinvolti nei giochi di potere che scatenavano le frequenti lotte fra clan.
Ancora militarmente più pericolosi erano gli yamabushi, i monaci guerrieri della montagna.
Le loro origini risalgono agli albori della cultura giapponese, quando gruppi d'eremiti si rifugiavano sulle montagne alla ricerca di poteri sovrannaturali che sconfinavano nella magia.
Si dicevano capaci di guarire le malattie, rendersi invisibili, di predire il futuro, di ricostruire il passato.
Nell'antico Giappone persino i magistrati ricorrevano a loro quando si trattava di scoprire la verità attraverso l'utilizzo dei poteri medianici ed ipnotici che questi sciamani dicevano di possedere.
Secoli più tardi, alcune sette buddiste ritennero i monti i luoghi più consoni al loro ritiro spirituale; entrando a contatto col mondo degli sciamani.
In questo modo le due culture si fusero.
I templi isolati sulle montagne finirono per diventare centri dove si coltivavano le più misteriose e potenti risorse della psiche e del corpo umano.
L'educazione militare occupava un posto centrale nella vita di questi monaci e gli yamabushi divennero formidabili guerrieri in grado di annientare qualsiasi avversario.
La potenza militare delle varie sette religiose spiega l'ostilità dei grandi capi clan del XVI secolo verso di esse.
Nella seconda metà del secolo XVI, i generali Nobunaga, Hideyoshi e Tokugawa infine, rivolsero le loro armate contro i principali monasteri del Giappone allo scopo di eliminarne l'influenza.
I templi più importanti furono rasi al suolo e buona parte dei monaci passati a fil di spada.
Con l'inizio dell'era Tokugawa, che diede al Giappone più di duecento anni di pace, i monaci superstiti furono disarmati e posti sotto stretto controllo.
I templi persero la loro influenza politica e militare, ma rimasero come luoghi di ritiro spirituale di gran prestigio culturale.
Capi politici e semplici samurai solevano ritirarvisi per brevi periodi per ritemprare lo spirito e trovare nuove energie per affrontare le battaglie del futuro.
I samurai in particolare dimostravano interesse per le tecniche di meditazione Zen e gli esercizi che rafforzavano la concentrazione psichica.
Consideravano, infatti, questi fattori determinanti per attivare la forza interna (KI), decisiva per il successo in combattimento.
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